L’art 79 del Codice del Terzo Settore è il fulcro della disciplina fiscale del terzo settore e consente di distinguere fra enti commerciali e non commerciali in base all’ attività di natura commerciale o non commerciale di interesse generale svolta. Per comprendere cosa s’intenda per attività di interesse generale bisogna fare riferimento al lungo elenco offerto dall’articolo 5 del Codice del terzo settore. In questo elenco sono elencate attività che spaziano dagli interventi sociali e socio sanitari, alle attività culturali, artistiche, di salvaguardia e tutela del patrimonio culturale ed ambientale. Sono considerate di interesse generale anche le attività educative ed extrascolastiche, nonché quelle finalizzate al reinserimento nel mondo del lavoro di persone inoccupate , l’assistenza ai migranti, l’organizzazione e la gestione di attività sportive dilettantistiche, le attività di beneficenza, di protezione civile, di riqualificazione di immobili pubblici inutilizzati, etc…
L’art. 79.2 definisce non commerciali le attività di interesse generale, anche se accreditate o contrattualizzate o convenzionate con le pubbliche amministrazioni, se svolte gratuitamente o anche dietro pagamento di corrispettivi, purché questi si limitino a coprire i costi effettivamente sostenuti dall’ente.
Il comma quattro sottolinea che non concorrono alla formazione del reddito degli enti del terzo settore i proventi di attività di raccolta fondi pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante offerte di modico valore di beni o servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione. Lo stesso vale per i contributi e gli apporti erogati da parte delle amministrazioni pubbliche per lo svolgimento, anche convenzionato o in regime di accreditamento delle attività non commerciali. Si considerano entrate derivanti da attività non commerciali i contributi, le sovvenzioni, le liberalità, le quote associative dell’ente e ogni altra attività assimilabile alle precedenti.
L’ente, invece, è commerciale se, indipendentemente dalle previsioni statutarie, i proventi delle attività di interesse generale svolte secondo modalità commerciali (cioè che non rientrano nei casi sopra indicati), risultino superiori nel medesimo periodo d’imposta rispetto alle entrate derivanti da attività non commerciali, cioè i contributi, le sovvenzioni, le liberalità, le quote associative dell’ente e ogni altra attività assimilabile. In conclusione, se le attività di interesse generale di cui all’art. 5 sono svolte prevalentemente in modalità non commerciale, l’ente sarà qualificato come non commerciale .Se le attività di interesse generale sono svolte in prevalenza secondo modalità commerciali, allora l’ente sarà commerciale
Il comma 6 dell’art. 79 si riferisce, infine, agli enti di natura associativa e fa specifico riferimento ai rapporti e alle attività svolte nei confronti dei propri associati e dei familiari e conviventi degli stessi in conformità alle finalità istituzionali degli enti, nonché alle somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi. Vanno considerate di natura commerciale le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti degli associati e dei familiari conviventi degli stessi verso pagamento di corrispettivi specifici (cioè che superano la copertura dei soli costi effettivi). Tale previsione trova, poi, nell’art. 85 del codice, una specifica disciplina agevolativa se tali attività sono svolte dalle associazioni di promozione sociale.