Il Frutto Avvelenato della Riforma del Terzo Settore

La Riforma del terzo settore penalizza la maggior parte delle associazioni

E’ indubbio che, riguardo gli enti associativi, di vitale importanza sia la disciplina fiscale. Fino ad oggi gli enti no profit godevano di varie agevolazioni fiscali. La più rilevante era prevista dall’articolo 148, comma 3, del TUIR ( Testo Unico delle Imposte sui Redditi) secondo cui “Per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, non si considerano commerciali le attivita' svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti …..omissis….”. Cioè, un’associazione poteva chiedere ai soci un corrispettivo (di entità variabile) per la partecipazione alle attività istituzionali e, dato che l’attività era ritenuta non commerciale, il corrispettivo non veniva tassato. Questo, fermo restando tutti i vincoli imposti a tali enti, compreso quello di rendicontazione, divieto di distribuzione degli utili e democraticità della struttura associativa.

Tale assetto, che non escludeva avanzi di gestione sulle attività a pagamento a favore degli associati, permetteva ad una miriade di associazioni di svolgere attività culturali, ricreative, di promozione del territorio, di aiuto sociale e socio-sanitario. Iniziative che non sarebbero mai state attivate tramite enti commerciali, a causa dell’alta tassazione e dei gravosi adempimenti di gestione.

Come molti sapranno, il Decreto Legislativo 3 luglio 2017, n. 117, ha impostato la riforma del terzo settore e di tutti gli enti no profit, riforma che sarà effettivamente applicata solo tra qualche anno. Il decreto istituisce gli Enti del Terzo Settore (ETS), che dovranno essere iscritti in un apposito registro nazionale, e che sono “costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalita' civiche, solidaristiche e di utilita' sociale, mediante lo svolgimento di una o piu' attivita' di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualita' o di produzione o scambio di beni o servizi” (articolo 4).

Peccato che la riforma preveda una disciplina fiscale assolutamente peggiorativa rispetto al precedente assetto. Infatti, secondo il decreto, le attività svolte dagli ETS si considerano non commerciali solo quando “sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi” (articolo 79 c.2). Quindi, secondo la riforma, le attività prestate non verranno tassate solo se sono svolte a titolo gratuito o solo se verrà dimostrato (presumibilmente tramite il rendiconto contabile) che i corrispettivi richiesti non superano i costi complessivi di svolgimento della stessa attività. Di conseguenza, viene brutalmente cancellato il regime di favore previsto dal TUIR, che permetteva di considerare nel complesso non commerciale l’attività svolta con gli associati, oltre a permettere avanzi di gestione per sopperire ai bisogni finanziari dell’ente (specialmente in mancanza di donazioni o contributi pubblici).

Ma, dato che non c’è limite al peggio, tale disciplina non dovrebbe applicarsi solo agli enti no profit che decideranno di aderire alla riforma e iscriversi nell’apposito registro, ma anche a tutte quelle associazioni che sceglieranno di restare fuori da tale assetto. Infatti, il comma 4 dell’articolo 89 della riforma (banalmente intitolato “Coordinamento normativo”), modificando direttamente l’articolo 148 del TUIR, cancella in modo indiscriminato i benefici fiscali di cui attualmente godono le associazioni culturali e gli enti sottoposti al regime onlus.

Ben fatto !!! Questa riforma, inizialmente considerata una pietra miliare per lo sviluppo del modo no profit, scaglia un macigno sul 99% degli enti associativi costituiti in Italia, che ora rischiano di essere definitivamente affossati.

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